La strage dei Georgofili, 16 anni dopo
La lotta alle mafie, un impegno quotidiano
26 maggio 2009 – discorso sulla strage dei Georgofili
Sono 16 anni che torniamo a riflettere sulla strage dei Georgofili, e a ricordare i nostri concittadini che ne furono vittime. E non ne siamo stanchi.
Sentiamo che a questo appuntamento non possiamo rinunciare, per rispetto delle persone innocenti che vi persero la vita, e per rispetto di noi stessi, che sappiamo – almeno e più distintamente da quella notte del 27 maggio del ‘93 – di avere un dovere in più.
È il dovere di un popolo di battersi per la vita e per la libertà, e di pretendere verità.
Ed è il dovere di una classe dirigente che voglia dirsi tale: il dovere di essere contro tutte le mafie, con l’esempio e con l’impegno civile, politico e istituzionale.
Le parole che diciamo in questa occasione sono molto importanti. Ed è importante rinnovarle ogni volta. Sono parole che ricordano quell’evento doloroso, e ricostruiscono davanti ai nostri occhi lo scempio e la crudeltà mafiosa, richiamano alla mente le vite spezzate di Fabrizio, Nadia, Caterina, Angela e Dario, e l’angoscia di quei giorni, la terribile sensazione di essere ciascuno di noi nelle mani di un potere inafferrabile e terroristico, che dettava allo Stato le sue condizioni per indurlo a comportamenti più permissivi verso i boss mafiosi.
Richiamano, poi, le nostre parole, gli anni successivi, il lavoro dei magistrati e delle forze di polizia e i successi nella lotta alla mafia, gli esecutori e i mandanti trovati e condannati, il ruolo di Gabriele Chelazzi, e la sua volontà di dare una risposta alla domanda di fondo sui mandanti a volto coperto.
Francesco Nocentini, giornalista e scrittore, ci ha riproposto in questi giorni con lucidità il problema dei problemi della strage dei Georgofili, e dobbiamo ringraziarlo per questo.
Quel problema – qualcuno ha trattato con la mafia in quel drammatico 1993? – deve essere drammaticamente presente davanti a noi. E in primo luogo alla classe dirigente di questo Paese. Perché la mafia può essere battuta, ma questo obiettivo può essere perseguito efficacemente solo se intorno a tutte le mafie si tende una rete fatta di coscienza di popolo, di partecipazione democratica, di solidarietà con le forze dell’ordine e della magistratura, ma fatta anche e soprattutto della forza morale e pratica delle istituzioni e di chi le governa.
La lotta alle mafie è impegno quotidiano.
In questi anni le istituzioni locali, i cittadini e le cittadine di Firenze si sono prodigati: abbiamo fatto e continuiamo a fare in questa città il nostro dovere, a parlare fuori dai denti, a mobilitarci in favore di chi lotta ogni giorno contro la sopraffazione della criminalità organizzata. Ripeto: facciamo questo anche per noi stessi, perché sappiamo che la memoria del passato e la coscienza diffusa del presente sono necessarie per far restare fuori dalla normalità della nostra vita ciò che è abnorme, criminale, mafioso.
Quando in questi giorni sentiamo le interviste ai ragazzi accorsi in Sicilia con la Nave della Legalità, quando raccogliamo le sensazioni dei ragazzi fiorentini e toscani che partecipano ogni anno ai campi antimafia, non c’è dubbio che il nostro cuore si riempie di fiducia. Intorno a questa mobilitazione delle coscienze c’è tutta la nostra città, tutta la nostra regione. C’è un clima importante di sostegno e di impegno delle istituzioni, a partire dal Presidente della Repubblica. Di questo clima positivo sono stati parte 15.000 ragazzi delle scuole fiorentine che in questi anni hanno partecipato ai progetti sulla legalità promossi dal Comune insieme a Libera e ad altre associazioni.
Poi, però, la nostra riflessione deve farsi più profonda, per capire quello che ancora non va, quello che ancora dobbiamo fare. Sono anni che lo Stato infligge colpi importanti ai mafiosi, e gli arresti si susseguono. Ma il potere mafioso, il potere camorrista, il potere della grande criminalità organizzata sembra ciononostante sempre in grado di riprodursi e di diffondersi, nella società, nell’economia, nella politica. E questa diffusione minaccia di trasformarsi di volta in volta in momento terroristico, in azioni violente dalle conseguenze imprevedibili. Per questo, il pericolo rimane attuale, drammaticamente attuale, pronto – all’occorrenza – a tradursi in altre esplosioni di violenza.
Le nostre vittime, i nostri cari scomparsi in quella notte del 27 maggio, ci ripropongono dunque ogni volta il dilemma: cosa facciamo perché il loro sacrificio non sia stato invano? Abbiamo fatto qualcosa di nuovo e di importante, ciascuno per quello che può e che deve fare?
Ecco perché dobbiamo chiedere che le verità nascoste emergano alla luce, che si faccia tutto per farle emergere dalla luce. Ed ecco perché ogni giorno siamo chiamati – come classe dirigente – a fare qualcosa in più per sconfiggere il terrore.
Fare qualcosa in più, qualcosa di sempre più importante. E farlo con il sostegno della memoria e dei cittadini che si mobilitano e che avvertono la dimensione del problema.
Ogni anno che passa, facciamo dunque la nostra riflessione più profonda. Ricordare la strage dei Georgofili serve a questo. E, se ogni volta che ricordiamo, spendiamo parole giuste e di impegno, abbiamo fatto già un passo avanti.