Italicum, preferenze e bipolarismo temperato
Dico la mia sulla riforma elettorale, quella proposta nell’accordo tra Renzi e Berlusconi. Cercherò di spiegare perché ritengo le preferenze il male minore se si vuole superare il Porcellum, e perché bisogna stare molto attenti sulle “soglie” di accesso al Parlamento e su quella per il premio di maggioranza.
A me le preferenze non sono mai piaciute, e confermo la posizione, che è dovuta, come dirò, più all’esperienza personale “sul campo” che alle letture di testi specialistici. Non sono – purtroppo – una studiosa di sistemi elettorali, ho potuto capire alcune cose lavorando sulla nuova legge elettorale regionale, ma avrei materiali sufficienti per scrivere, partendo proprio dalla mia esperienza, un libro ben argomentato. Chissà.
Nella mia vita politica ho partecipato a elezioni quasi sempre con preferenze (tutte, tranne nelle regionali del 2010, ma il sistema elettorale regionale non l’ho votato io, nel 2004 non ero in consiglio regionale). Dunque, nonostante sia sempre stata eletta in confronti elettorali comunali con preferenza, e per due volte con innegabile successo personale, conosco bene cosa comportano, soprattutto per chi non vuole fare patti con il diavolo.
Le preferenze nell’Italia di oggi hanno due grandi difetti: impongono una forte spesa ai singoli candidati (i quali operano praticamente da soli, il partito non fa nulla per loro); e mettono i candidati dello stesso partito più in competizione tra di loro che verso gli altri partiti, e alla fine non si capisce bene se un partito sopravvive ancora o è una mescolanza di interessi lontani. Il partito si struttura sulle preferenze, e se è fragile rischia di esserne sopraffatto, e di diventare una sommatoria di notabili. Dunque, se ci tieni a un partito forte e unito dovresti evitarle. Nei comuni è quasi impossibile, ma per il Parlamento e la Regione dovresti evitarle.
Capisco perché, per altri percorsi, a questa stessa conclusione arrivano anche i partiti personali, e ancor di più quelli padronali. In un partito personale le preferenze favoriscono l’autonomia dal capo, ed è solo per questo che il capo non le vuole. Capisco anche perché il capo di un partito personale non vuole l’uninominale, poiché anche qui il candidato – pur designato da lui – “rappresenta” il partito sul territorio, e si sente più responsabile di fronte ai cittadini del proprio collegio. Perciò c’è come una spinta convergente: i partiti democratici cercano di evitare le preferenze per restare forti e uniti, i capi dei partiti personali cercano di evitare le preferenze per mantenere saldo il loro potere. La differenza tra i due è che i partiti democratici trovano nell’uninominale il migliore strumento per consolidare un rapporto intenso, democratico appunto, con il territorio, senza compromettere la propria vita interna, anzi migliorandola decisamente, mentre i partiti personali vedono anche nell’uninominale una mina vagante contro la leadership del capo. Il rischio di queste spinte convergenti è di trovare l’accordo su una via di mezzo, che è poi quella delle liste plurinominali bloccate, solo che, come cercherò di spiegare, il risultato è peggiore sia della soluzione uninominale sia della soluzione preferenze. Perché comunque, con tutti i difetti che hanno, la preferenze danno una risposta alla domanda di partecipazione degli individui.
Caliamoci ora nella vicenda italiana, quella del Porcellum e della crisi della rappresentanza politica. Le preferenze risolvono in modo semplice e diretto il problema della legittimazione degli eletti visto dalla parte dei cittadini. In momenti di forte semplificazione del dibattito pubblico, la percezione è immediata e diffusa, quasi tumultuosa. Quando, nell’Italia del Porcellum, si pone il problema di restituire potere agli elettori, la preferenza diventa subito un valore. Con questa percezione devi fare i conti, e se non vuoi le preferenze perché sei un partito democratico, il sistema migliore e più sperimentato, che mette insieme il potere di scelta dell’elettore e la forza e l’unità del partito, è, come ho cercato di dire, l’uninominale.
É con l’uninominale che il candidato e il partito sono un tutt’uno: so quale persona e quale partito voto, a me spetta la scelta su cosa deve prevalere, se il valore-candidato o il valore-partito, ma alla fine, nel processo di legittimazione, entrambi ne escono rafforzati. Questo tipo di scelta è invece preclusa nei listini bloccati, e altrettanto preclusa è la legittimazione unitaria, del partito e del candidato. L’elettore non può identificare uno dei candidati con il partito, e dunque non sa dove va a finire il suo voto. Sapere dove va a finire il tuo voto, cioè sapere a cosa serve, è il primo fattore di legittimazione della politica. Ed è per questo che la preferenza è, nella percezione di tutti, la soluzione più a portata di mano.
Nell’uninominale domina un principio basilare, comune alla preferenza: il candidato può veramente essere eletto. Tutti i candidati possono essere eletti, perfino quelli dei partiti minori, se scatta un rapporto di fiducia del territorio. Nella lista bloccata plurinominale, invece, i candidati non hanno le stesse chances, non hanno le stesse possibilità; puoi essere il migliore, il più stimato, il più amato, ma se sei il n. 4 non vai da nessuna parte. Per dargli le stesse chances devi fare cose complicatissime, per esempio fare liste di due massimo tre candidati, e poi stabilire che vincono insieme, cioè devi riprodurre quasi la stessa situazione del collegio uninominale, solo estesa a tutti i candidati della piccola lista bloccata, cosicché quella sia proprio la “squadra” che si confronta con le altre “squadre”. Complicatissimo, quasi impossibile, anche se qualcuno (qualcuna) ci ha provato inventando il “binominale uomo-donna”. Ma non siamo a queste raffinatezze: le liste bloccate del sistema di cui parliamo non danno le stesse chances ai candidati, non aiutano l’elettore a fare una scelta sicura. Riproducono in piccolo il Porcellum, e questo gli elettori lo percepiscono (lo percepiranno) bene. Non c’è bisogno di una laurea in scienze politiche.
Cerco di farmi capire con un esempio. Mi piace molto il n. 3 della lista bloccata, gli altri decisamente no, ma non so se, votando la lista, contribuirò ad eleggere il candidato che mi piace. Nella lista plurinominale bloccata il partito non mi dice la verità su chi mi propone di fare la mia scelta rispetto agli altri partiti, mi dice solo: vota questa lista, poi si vedrà se il candidato che ti piace sarà eletto. Anzi, mi dice: questo lo metto in lista, dunque meriterebbe, ma da qui a eleggerlo ce ne corre. Se io voto perché c’è quel candidato e poi non lo trovo eletto, mi sentirò tradito. Che faccio, la voto quella lista?
La legge Mattarella era fondata sull’uninominale, ricordate? Aveva anche un piccolo listino regionale (sulla seconda scheda alla Camera) che si votata senza preferenza, per consentire un recupero proporzionale (25% dei seggi). Era una mediazione buona, perché l’elettore la scelta principale l’aveva, appunto nel collegio uninominale sia alla Camera che al Senato. Anche in Germania c’è un recupero proporzionale che sfugge all’elezione diretta, ma il cuore sono sempre i collegi uninominali. Il Francia poi c’è il doppio turno di collegio. In altri Paesi (Belgio, per esempio, e Svezia) ci sono altri sistemi misti di voto, con liste precostituite ma anche con voto di preferenza, sistemi un po’ complicati, nei quali però si può sovvertire l’ordine di lista del partito con un voto di preferenza elevato. In Europa, solo in Croazia, Islanda, Spagna e Portogallo i listini bloccati (a volte listoni) sono la regola. Se volete un quadro riassuntivo dei sistemi elettorali, date uno sguardo alla relazione presentata al Consiglio regionale dall’Ufficio e osservatorio elettorale della Regione Toscana.
Devo dire che per chi, come me, sostiene la superiorità dell’uninominale è diventato difficile, dopo anni e anni di Porcellum, promuovere l’uninominale nei dibattiti pubblici e nei confronti con le persone. Fino a qualche giorno fa, qualunque cosa scrivessi di politica, era facile trovare uno che diceva: ma quando cambiate la legge elettorale regionale, quando cancellate i listini, quando mettete le preferenze? Cosicché, tra un po’, tra quelli che prima invocavano scelte dure e pure, mi sa che sentirò un’altra litania: ma quando cambiate la legge sulle primarie? quando le fate obbligatorie? Già qualcuno ha cominciato a dire così, amando l’Italicum “a prescindere” e più di quanto meriti.
In realtà, in Consiglio regionale è da tempo che abbiamo preso una decisione, che io stessa ho contribuito a determinare: la legge elettorale va cambiata, i listini vanno superati e i modi sono solo due: o con l’uninominale o con le preferenze su liste corte. Ormai siamo in dirittura d’arrivo: l’opinione prevalente tra le forze politiche (e anche nel PD) è fare piccole circoscrizioni (minimizzando così le spese della campagna elettorale dei candidati e la loro dipendenza da gruppi con forte potere economico) con piccole liste e voto di preferenza. Continuo a pensare che si potrebbe ancora lavorare per l’uninominale, ma la mia opinione è minoritaria: accetto dunque l’idea delle preferenze, con piccole liste e voto di preferenza “facilitato” (nella scheda si possono prestampare i nomi dei candidati, così si incentiva la scelta dell’elettore, evitando che si sia eletti con un piccolo numero di voti).
Queste due scelte alternative (uninominale o voto di preferenza in piccole circoscrizioni) sono sicuramente le migliori a disposizione. Tutto il resto è, secondo me, impraticabile, nel senso che non è in grado di dare risposta alla domanda di cambiamento del Porcellum. Perciò, è del tutto ovvio che, se viene presentato come inevitabile un voto su lista plurinominale, anche un “uninominalista” ti chiede di introdurre le preferenze. Non è che ha cambiato idea sulle preferenze, è che ragiona con serietà e coerenza rispetto alla forte esigenza di superare il vulnus del Porcellum. Smettiamola, perciò, di accusare gli uninominalisti di incoerenza, è proprio il contrario. Gli uninominalisti sono i primi (vero Giachetti?) che chiedono di superare decisamente il Porcellum, e se uninominale non può essere almeno sia piccola circoscrizione (come è nella proposta di Renzi) e voto di preferenza (come invece nella stessa proposta non è). Come si fa a non capire? Come si fa a pensare che si possano fare buone primarie (e farle solo come PD) mentre intorno è tutto un Porcellum in sedicesima? Questa è la nuova Repubblica?
E vengo alle primarie, presentate da alcuni come la quadratura del cerchio. Si dice: se si fanno le primarie, si può fare anche la lista bloccata, tanto l’ordine di lista è deciso democraticamente. Per questo, le primarie dovrebbero essere obbligatorie. Cioè, dovrebbe essere obbligatorio un sistema di preferenza tale e quale alle preferenze “istituzionalizzate”, solo fatto prima, tra un gruppo di elettori (la minoranza degli elettori, sempre una piccola minoranza), e proprio su liste, come nelle elezioni “normali”. Questa posizione è, come dirò, un po’ ipocrita, e ha il grandissimo difetto che si può applicare anche alle liste bloccate lunghe. A proposito, quand’è che una lista bloccata è lunga? Con trenta candidati o con dieci? E’ lunga o breve quella di sei?
Per favore, non prendiamoci in giro.
Prima di tutto, le primarie non si possono fare obbligatorie per legge, già il nostro sistema elettorale è complicato, già il contenzioso elettorale è micidiale, figuriamoci se possiamo portare davanti ai giudici anche i risultati delle primarie (questa è infatti la prima conseguenza se si impongono per legge). Le primarie servono ai partiti per fare buone scelte e trovare i candidati più competitivi, non devono stare nel procedimento elettorale in senso stretto. Dunque, non possono che essere volontarie. E infatti la legge toscana sulle primarie prevede che siano volontarie.
E poi, cosa decisiva, le primarie hanno senso solo quando c’è il sistema uninominale, un po’ come succede per i sindaci. Si fanno per scegliere il candidato unico del partito in quel collegio, non per entrare in liste bloccate, altrimenti – è intuitivo – è più corretto sottoporre i candidati di una lista direttamente al voto di tutti gli elettori. Insomma, le primarie funzionano bene solo quando sono intimamente legate al sistema elettorale che identifica una persona con un partito (Parlamento, Regione) o con una coalizione (sindaco). Tutto il resto è un pasticcio.
Perciò, le parlamentarie del PD del 30 dicembre 2012 sono state solo un palliativo. E il problema è rimasto infatti lì immutato: se chiedete l’opinione di un qualunque elettore, ti risponde che tutti i parlamentari li considera “nominati” dai partiti, si il PD ha fatto le primarie ma non è cambiata la sostanza. Per favore, dunque, non arrampichiamoci sugli specchi, guardiamo alle cose come sono nella realtà: Berlusconi ha preteso il micro-Porcellum solo per portare in Parlamento i suoi nominati, solo gente che risponde solo a lui. Il micro-Porcellum è solo un Porcellum fatto per tranches, nulla di più. Questo discettare sul micro-Porcellum come se fosse la panacea di tutti i mali ha uno strano sapore. Vecchio.
Infine, le soglie di accesso al Parlamento sono, nella proposta PD-Forza Italia, micidiali. Non c’entra nulla il bipolarismo. Anche se io questo bipolarismo italiano forzato mi sembra abbia portato più disastri che vantaggi. E’ dal 1994 che l’Italia è forzatamente bipolare, e cosa è successo? A parte le parentesi di Prodi, abbiamo consegnato l’Italia nelle mani di un gruppo di potere senza limiti, aggressivo, devastante per la tenuta democratica del Paese. E poi, come si sa, il bipolarismo forzato non ha portato meno partiti ma più partiti, perché quando forzi costringi ad aggregazioni innaturali, destinate a scomporsi appena dopo il voto. É il bipolarismo forzato che s’è portato appresso, come unica via d’uscita alle crisi drammatiche che l’Italia ha vissuto, i governi di larghe intese, governi di necessità ma che diffondono la percezione dell’inutilità del momento elettorale. Purtroppo, anche il PD ha lavorato per il bipolarismo forzato, con quella idea della “vocazione maggioritaria” che non apprezzava alleanze, gioco di squadra, intesa politica con chi ti è più vicino, imponendo all’elettore una scelta drammatica: o con me o contro di me. E non mettendo nel conto che, quando poi l’elettore ti dice: contro di te, poi tutto diventa più difficile, e il vincitore prende le cose sul serio, non governa per il Paese, governa proprio contro di te. E per prima cosa fa il Porcellum.
Allora dobbiamo essere contro il bipolarismo? Neanche per sogno, ma l’Italia – Paese diviso e fortemente conflittuale – non può essere consegnata interamente nelle mani di una parte. Conviene alla democrazia che il bipolarismo sia temperato, consenta di fare un governo e di farlo durare, ma eviti che chi vince possa prendere tutto. Prendere tutto non significa solo “prendere i posti”; per un democratico evitare che chi vince “prenda tutto” significa garantire una dialettica politica intensa, che è utilissima per mantenere il nucleo essenziale dei propri diritti civili e politici costituzionali. Io voglio che il mio partito vinca e governi, ma voglio anche che ci sia un’opposizione plurale, perché solo l’esistenza di una opposizione plurale limita le tentazioni del potere assoluto, che perfino il mio partito può avere. Una buona democrazia è fatta di governo e di rappresentanza, le due cose ci devono stare insieme. Se io oggi, in nome del governo, distruggo la rappresentanza, magari contando sul fatto che vincerà proprio la mia parte, domani, quando vinceranno gli altri, mi troverò in una condizione di impotenza drammatica. Come è successo con i governi Berlusconi. Continuo a non capire che interesse ha il PD alla distruzione totale di partiti di una certa consistenza (Sel, Scelta Civica, Federazione della sinistra, Udc, Nuovo centro desta, Lega, Fratelli d’Italia) che possono stare in alleanze di governo temperando i partiti maggiori o anche stare fuori dal governo, senza che questo impedisca alle forze maggiori (PD, Forza Italia, M5S) di avere i numeri sufficienti per governare. Per governare non c’è proprio bisogno di uccidere il pluralismo.
Per questo, il bipolarismo di cui ha bisogno l’Italia, deve essere un bipolarismo temperato. Questo comporta: soglie di accesso al Parlamento decenti (se in Germania c’è il 5% in un sistema proporzionale, non si vede perché in Italia, dove ci sarà il premio di maggioranza, non si possa accettare una soglia più piccola, anche il 4% come alle europee, e comunque se 5% deve essere non si capisce perché arrivare all’8% per i non coalizzati) che consentano di far vivere il pluralismo, e premi di maggioranza compatibili con la Costituzione (lo è il 18%?, secondo me no). Perciò, i premi di maggioranza (premi di governabilità) vanno dati a chi raggiunge un consenso alto, non basta il 35%, bisogna almeno superare il 40, sennò per dare il premio ci vuole il doppio turno. Nella proposta di Renzi, per fortuna, il doppio turno c’è, ma la soglia d’obbligo è troppo bassa, non solo giuridicamente troppo bassa (come dicono molti esperti), ma politicamente troppo bassa. Solo il doppio turno consente di far accettare un premio che fa arrivare il vincitore al 53-55% dei seggi.
Non sono cose complicate, sono cose ragionevoli. Soprattutto sono cose dannatamente moderne, cose che cercano di cambiare la politica di oggi. Cambiare si deve, ma si può farlo senza l’ossessione di vittorie elettorali a tavolino.
23 gennaio 2014