LA TOSCANA MERITA UNA BUONA LEGGE ELETTORALE, NON QUELLA DELL’ACCORDO CON FORZA ITALIA

agosto 15, 2014admin2014, da FACEBOOK0

Pubblico qui di seguito gli appunti che ho utilizzato nella Conferenza Stampa sulla legge elettorale – Firenze, 14 agosto 2014.

Sulla legge elettorale regionale c’è un po’ di confusione, proverò a chiarire qualcosa e a dire la mia opinione. In due parole, il mio ragionamento è questo:

  • si poteva e si può ancora dare alla Toscana una buona legge elettorale, basta rimediare ad alcuni errori,  sul listino bloccato regionale e sulle soglie d’accesso;
  • gli errori non sono frutto delle posizioni assunte dal PD in due anni di discussioni; anzi quelle posizioni stavano per portare a un risultato molto buono;
  • il vero errore è stato fatto all’ultimo momento da un PD che ha voluto ad ogni costo puntare sull’accordo con Forza Italia, sottovalutando gli effetti molto negativi e insostenibili delle regole che Forza Italia ha voluto;
  • agli errori si può porre rimedio. Il tempo c’è, la maggioranza consiliare anche, basta avere il coraggio di volerlo.

La legge elettorale regionale non è cosa da poco. L’esercizio del diritto di voto non è cosa da poco. Se il diritto di voto funziona male, tutte le decisioni funzionano male. Si diceva una volta in America: “niente tasse senza voto”; noi possiamo dire: “niente buone decisioni se ai cittadini non è assicurato uguale diritto di voto”. Le regole volute da Forza Italia negano questa uguaglianza, per fini particolari.

Attenzione: l’uguaglianza del voto non è solo una giusta aspirazione per chi ha a cuore il buon funzionamento della democrazia, e per ogni persona di sinistra. L’uguaglianza del voto è soprattutto il modo per garantire legittimità e stabilità al sistema democratico. Così deve essere per il Parlamento, così deve essere per i comuni, e così deve essere anche per la Regione.

Uguaglianza del voto significa più cose: uguaglianza tra candidati, uguaglianza tra forze politiche, uguaglianza tra i cittadini che votano. I sistemi elettorali possono “forzare” qualcuna di queste uguaglianze, ad esempio in nome di un ragionevole principio di governabilità. Ma se si forzano tutte insieme, il sistema diventa inaccettabile, profondamente diseguale, illegittimo. Per esempio, in Germania c’è una soglia d’accesso abbastanza alta (5%), dunque c’è una forzatura, ma ciò avviene nell’ambito di un sistema rigorosamente proporzionale, senza premio di maggioranza, e lo sbarramento al 5% serve per assicurare la governabilità, con accordi di governo tra poche forze politiche (di solito due). Anche in Francia, il doppio turno è senza premio di maggioranza, mentre l’elezione del Presidente è un’elezione autonoma. In Gran Bretagna il voto per collegio uninominale espone a una forzatura, ma anche qui non c’è premio di maggioranza, e il Governo Cameron è di coalizione. In Italia, il sistema elettorale dei comuni con più di 15.000 abitanti è un proporzionale con voto di preferenza su liste plurinominali, c’è il premio di maggioranza legato all’elezione del sindaco, ma la soglia di sbarramento è del 3%, sia per i singoli partiti sia per le coalizioni. In ognuno di questi sistemi elettorali c’è una diversa soluzione del problema della governabilità, ma il principio di uguaglianza è sempre rispettato e le forzature sono razionali, perciò accettabili.

L’accordo PD-Forza Italia stipulato in Toscana per la nuova legge elettorale non rispetta nessuna uguaglianza. C’è il premio di maggioranza per chi vince al primo o al secondo turno (e questo va bene), ma ci sono anche:

a)      soglie d’accesso alte e differenziate: le coalizioni devono raggiungere il 10% dei voti, e in questo caso la soglia d’accesso del singolo partito è il 3%; altrimenti accede al consiglio regionale solo il partito che ha raggiunto il 5% dei voti; non c’è uguaglianza tra le forze politiche;

faccio un esempio, per capirci:

Il 10% di voto di coalizione in Toscana significa 189.729 voti (europee 2014, voti validi totali 1.897.292). Due partiti ciascuno di 94.800 voti (4,99%), 189.600 in totale (9,99%), non entrano in consiglio, perché solo tra di loro coalizzati, mentre entra in consiglio chi ne prende 56.919 (3%), perché coalizzato con il PD o Forza Italia. Ce lo vedete un partito al 4,99% (o al 3,1 però di coalizione che non raggiunge il 10%) che non fa ricorso perché escluso?

In realtà, non tutte le soglie differenziate sono aberranti.  L’Emilia Romagna, ad esempio, le ha introdotte, ma in un senso completamente opposto a quello dell’accordo PD-Forza Italia. In Emilia Romagna, con voto pressoché unanime del Consiglio ha stabilito due soglie: il 3% per i partiti coalizzati o meno, che può diventare minore del 3% se il candidato sostenuto dalla coalizione raggiunge il 5% di voti. Cioè: puoi anche non raggiungere il 3%, ma se il tuo candidato presidente di coalizione raggiunge il 5%, allora tutte le liste che lo sostengono possono accedere al riparto dei seggi. Sono soglie differenziate, ma si preoccupano dei piccoli partiti che comunque in coalizione hanno raggiunto il 5% dei voti. Ecco cosa vuol dire soglia differenziata ragionevole. Come, a mio avviso, è ragionevole anche fermarsi al 3%, un po’ più rischioso ma certamente ragionevole.

b)      voto di preferenza per stabilire i consiglieri eletti, ma anche listino regionale bloccato, e addirittura possibilità di candidarsi sia nel listino bloccato sia nelle liste con voto di preferenza; non c’è uguaglianza tra i candidati e non c’è uguaglianza tra gli elettori. La scheda elettorale è quanto di più confuso possa essere, con nessuno, uno due o tre nomi scritti sotto i simboli (listino bloccato regionale), nomi scritti accanto al simbolo e sui cui gli elettori possono dare il voto di preferenza, e nomi scritti in modo diverso (i primi col nome puntato, gli altri nome e cognome per esteso).

È evidente che anche le cose buone (su cui c’era però ampia convergenza: voto di preferenza donna-uomo, alternanza di genere, ballottaggio, preferenze facilitate, premio di governabilità, ecc.) si azzerano di fronte a tanta diseguaglianza.

Non so se lo avete notato, ma i giuristi che hanno espresso le loro perplessità sulle soluzioni contenute nell’accordo PD-Forza Italia, lo hanno fatto evidenziando la rottura del principio del voto uguale.

A quanto raccontano la stampa e quelli ben informati, ciò che avverrà in Toscana conterà nel dibattito nazionale sul cd. Italicum. Segnalo, però, che non sono bastate tre ore di colloquio tra Renzi e Berlusconi per concordare le modifiche all’Italicum, mentre tutti davano per scontato che ci si stava per attestare sulla posizione dell’accordo toscano. Qualcuno deve avere sollevato il dubbio che l’esperto Verdini è sì esperto in sistemi che avvantaggiano Forza Italia, ma non tanto esperto in cose istituzionali. E forse si stava facendo un autentico pasticcio, negando la soglia unica di accesso e mettendo il capolista bloccato sopra a una lista con preferenze. Vedremo come andrà a finire.

Cercherò allora di raccontare cosa è successo in questi due anni, nei quali ho coordinato il Gruppo di lavoro del Consiglio regionale. E’ importante sapere come sono andate le cose. Riassumo così: siamo stati a un passo dal successo (cioè dal varare una buona legge elettorale condivisa da tutti, almeno nelle cose fondamentali), e poi invece siamo arrivati a una rottura importante, da una parte i due partiti maggiori (PD e Forza Italia) e dall’altra quasi tutti gli altri. Non tutto il buono che avevamo detto è stato eliminato, ma certo la rottura è avvenuta su questioni rilevanti.

La posizione assunta il 19 giugno 2014 dal PD nel gruppo di lavoro, posizione che in sostanza ha scelto di mettere davanti a tutto l’accordo con Forza Italia, è una posizione che smentisce quanto aveva sostenuto il PD toscano fino ad allora. Quando un partito cambia linea così profondamente, dovrebbe chiedere prima alle iscritte e agli iscritti, alle elettrici e agli elettori, se sono d’accordo su quel cambiamento di linea. Il mandato democratico è una cosa seria, se si cambia linea ci vuole un congresso tematico o un referendum. Altrimenti, tutto diventa possibile, basta votare negli organismi dirigenti. Per me, il cambiamento di linea c’è stato e vistoso su punti essenziali.

A questo punto, è per me una questione di coerenza tentare di convincere, insieme ad altri consiglieri regionale del PD, tutti i miei colleghi e le mie colleghe del PD e degli altri partiti che sono in Consiglio:

  • che si sta per fare un grave errore: nella fretta di fare comunque un accordo con Forza Italia, si sono sottovalutati gli effetti negativi di quell’accordo; negativi non solo e non tanto per il PD (anche per il PD) ma soprattutto per la tenuta delle prossime elezioni, che saranno esposte a tanti, troppi dubbi di costituzionalità, e dunque a tanti ricorsi davanti ai giudici;
  • che si può e si deve riconoscere l’errore (tutti possono sbagliare) e mettere davanti a tutto, anche davanti agli interessi particolari, gli interessi generali e dell’istituzione.

Il mio dissenso si concentra sui contenuti dell’accordo PD-Forza Italia, non è rivolto al PD. Anzi, sottolineo il fatto che il mio NO all’accordo PD-Forza Italia è basato sulle idee espresse dal PD per due anni e fino al 19 giugno 2014, le stesse idee discusse in sede di Gruppo di lavoro istituzionale, e rispetto alle quali c’erano sì opinioni articolate ma non irrimediabilmente divergenti, anzi molto vicine all’intesa della maggioranza del Gruppo di lavoro.

Rivendico il mio diritto al dissenso, soprattutto quando in ballo ci sono cose così importanti, e rivendico il dissenso politico, non “di coscienza”. Perché la posizione sulla legge elettorale è una cosa costitutiva per un partito di sinistra.

Anzi, per capirci, sostengo che il vero dissenso non è il mio, è di chi sostiene ad ogni costo un accordo con Forza Italia. A loro chiedo perché le cose sono cambiate da un giorno all’altro. E in Toscana non si possono invocare i numeri, i numeri per fare una buona legge c’erano e ci sono ancora, sono i numeri del PD e della grande maggioranza delle forze di governo e di opposizione. Dunque, aggiungo, finché il PD non convoca un referendum tra gli iscritti e gli elettori del PD, fatto con le due tesi a confronto, non si può nemmeno ragionevolmente parlare di “dissenso dalla linea del PD”.

Insisto: non tutto è deciso, c’è ancora tempo – poco, ma c’è – per rimediare. La riforma elettorale la votano i consiglieri regionali, nessun altro. Sono i consiglieri regionali che possono cambiare verso. E se questo avverrà, io sono convinta che tutti, proprio tutti, compresi quelli che oggi sostengono l’accordo con Forza Italia, tireranno un sospiro di sollievo. Perché tutti sappiamo che domani “qualcuno ci giudicherà”.

Infine, dico che mi appresto a presentare emendamenti al testo frutto dell’accordo con Forza Italia: non è mia intenzione, infatti, presentare una legge alternativa, ma correggere nel profondo un testo che è nato buono ed è diventato sbagliato, profondamente sbagliato, dopo che è stata modificata in due punti essenziali la versione presentata dal PD il 30 gennaio 2014. Ricordo che quel testo (del 30 gennaio 2014) fu anche l’esito di una consultazione tra gli iscritti e i comitati territoriali.  E ricordo che, negli incontri a cui ho partecipato, nessun iscritto e nessun dirigente ha mai detto di essere a favore delle liste bloccate, né provinciali né regionali. E nessun iscritto e nessun dirigente ha mai sostenuto soglie di sbarramento che impedissero a partiti consistenti di entrare in consiglio regionale.

Ricordo che sono stata tra quelli, nel Gruppo di lavoro come nel PD, che hanno cercato di mantenere aperta fino al possibile la porta del collegio uninominale. Nell’atto di indirizzo del 9 agosto 2013, che ho personalmente redatto, i due sistemi erano ancora posti sullo stesso piano. Poi però ho dovuto prendere atto:

  • che il Presidente della Giunta regionale si è espresso in modo deciso in favore del ripristino delle preferenze;
  • che molte forze politiche nel Gruppo di lavoro (e soprattutto nel centro destra) si sono espresse in favore del ripristino delle preferenze, principalmente perché il collegio uninominale avrebbe determinato l’elezione in prima battuta pressoché di tutti i candidati del centro sinistra, lasciando agli altri candidati il ruolo di eletti in seconda battuta;
  • che nell’opinione pubblica è prevalsa una visione  decisamente favorevole alle preferenze;
  • che il PD ha, a un certo punto (dicembre 2013), fatto la scelta, e tra i due sistemi ha deciso di puntare sulle preferenze.

Aggiungo però che, grazie alla discussione fatta nel Gruppo di lavoro, ci si è comunque orientati a fare piccole circoscrizioni, in modo da limitare al massimo i difetti del sistema delle preferenze, e che – fatto innovativo – ci siamo tutti orientati favorevolmente al voto di preferenza “facilitato”, con i candidati scritti sulla scheda.

Dunque, io oggi sostengo – in continuità con il lavoro fatto – che la soluzione trovata il 30 gennaio 2014 sul voto di preferenza donna-uomo facilitato su liste plurinominali brevi è una soluzione sostenibile, dignitosa, accettabile.

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