Perché vado a Roma il 25 ottobre
Il 25 ottobre andrò alla manifestazione della CGIL. Mi piace il perché: “Lavoro, dignità, uguaglianza, per cambiare l’Italia”, e condivido le quattro proposte che sono alla base delle rivendicazioni politiche della CGIL: un piano straordinario per l’occupazione finanziato dalla tassazione sulle grandi ricchezze; riforme per ammortizzatori sociali universali; riforma dello Statuto dei Lavoratori per estendere diritti e tutele universali a tutti; un contratto a tutele crescenti per favorire il lavoro a tempo indeterminato e sicuro, cancellando le forme contrattuali precarie che si sono moltiplicate fino a 46.
Ci andrò perché non m’è piaciuta per niente la storia del Jobs Act, la delega in bianco incostituzionalissima e il Parlamento messo sotto scacco dal voto di fiducia, il Governo che s’intesta la battaglia finale contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la propaganda per convincere che nuovi diritti si possono ottenere solo sopprimendo quelli che ci sono.
Vado a Roma anche per dire – si può? – che la manovra finanziaria di Renzi e Padoan non mi convince per niente. Un miscuglio imponente di soldi che vanno e vengono, e misure che cambiano giorno dopo giorno, mentre è certo che il Governo regalerà 5 miliardi (e forse più) di tasse agli imprenditori, e per finanziare questo e tutto il resto metterà in mutande Regioni e enti locali, tanto – se le cose non vanno bene – a pagare il conto saranno sempre gli stessi, solo che se ne accorgeranno dopo, dopo aver applaudito pensando “io sono tra chi ci guadagna subito, il resto poi si vedrà”. I soldi che vanno e vengono non serviranno né a garantire un reddito minimo (ai giovani e a chi perde lavoro), né a migliorare i servizi ai cittadini (asili nido gratis per tutti costerebbero meno del bonus bebè), i malati sarà bene che non si ammalino troppo, i pendolari sarà bene che si facciano preferibilmente trasportare dall’ottimismo. Se poi qualcosa della coraggiosa manovra non funzionerà (mettiamo i quasi 4 miliardi della lotta all’evasione), ci penseranno le solite clausole di salvaguardia, che porteranno l’IVA ancora più su.
Beh, è chiaro, non ci sono mica tutte cose negative: c’è l’aumento di questo e di quel fondo (politiche sociali, non autosufficienti, ecc.), c’è il sostegno ai nuovi contratti a tempo indeterminato (quelli a tutele crescenti, che però non sostituiscono la giungla delle decine di contratti attuali) cose importanti certo, ma buttate lì senza alcuna visione del welfare futuro, senza alcun progetto per rafforzare le istituzioni (che ormai tutti identificano con gli sprechi), senza nessuna vera scelta di sistema. In realtà, come ricorda un recente articolo su lavoce.info (http://www.lavoce.info/
Si pensi poi alla scuola, e a un conto finale che non si capisce se sarà a saldo positivo (come sembra) o negativo (come è certo che sarà sugli operatori e sugli insegnati), tra promesse di soluzione del problema-precari e incertezza sull’effettiva entità dei tagli e degli investimenti. Si pensi alla strategia – ormai palese – di progressivo abbandono delle istituzioni locali, comuni e Regioni ma anche province (che ancora ci sono), costrette a imboccare la strada della sopravvivenza azzerando intere politiche pubbliche, in attesa di chiudere il bandone nel giro di pochi anni, ma non prima di aver “accompagnato” la sanità e i servizi ai cittadini verso un ulteriore degrado. Colpisce il disinteresse di uno Stato-Governo che d’un tratto (dopo essere stato fino a ieri il primo promotore di inefficienza e di spreco delle risorse pubbliche, e il primo responsabile della dilagante corruzione) si proclama oggi unico protagonista del cambiamento e, addossando ad altri le sue primarie colpe, si tiene al riparo dal giudizio del cittadino-elettore per le conseguenze che ci saranno sulla sanità pubblica, sui trasporti pubblici, sui servizi sociali.
Vado a Roma perché ormai non c’è altro modo per partecipare, se non protestando per il silenzio che sta calando, inesorabile, sulle buone ragioni di chi vuole una guida sicura per uscire dalla crisi. È banale, ma l’unica chiave per uscire dalla crisi è restituire agli italiani stabilità e certezze sul futuro, facendo crescere la domanda di beni e servizi individuali e collettivi e investimenti innovativi e ambientalmente sostenibili. Protestando, chiediamo sì una manovra espansiva e anche coraggiosa contro le restrizioni dell’Europa, ma la vogliamo con investimenti pubblici e privati forti e qualificati, e non finanziando riduzioni di tasse in deficit (chi pagherà nel futuro? a quando i prossimi tagli di servizi essenziali?).
Milioni di persone sono precipitate in questi anni nella povertà e nell’infelicità, ma la felicità pubblica si ottiene solo prendendo la direzione del lavoro, della dignità,dell’uguaglianza, della legalità.
Confesso che vado a Roma per questo, e per dire a Governo e Parlamento che molte delle “riforme” di cui stanno parlando non vanno bene, e che – se ne hanno voglia – possono rimettersi in contatto con chi il cambiamento lo vuole veramente. Hanno mille occasioni per dimostrarlo: la legge di stabilità, appunto, e il Jobs Act, ma anche la riforma della Costituzione, la legge elettorale, lo Sblocca Italia, la riforma della pubblica amministrazione. Non quattro gatti isolati ma milioni di persone li osservano. Il Governo farà bene ad ascoltare.
Vado a Roma il 25 ottobre, e vorrei che fossimo in tanti. Se avete tempo, ci vediamo là.