Torna l’Italicum con modifiche. Una tappa verso il presidenzialismo?
Sembra che presto potremmo avere la nuova legge elettorale nazionale. Si parla da qualche settimana di alcune modifiche che il Presidente del Consiglio – Segretario del PD vorrebbe apportare al testo fin qui approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato (AS 1385). Renzi l’ha detto anche ufficialmente davanti ai parlamentari del PD. Di cosa si tratta? Anzitutto dell’attribuzione del premio di maggioranza al partito vincente e non alla coalizione. A prima vista, questa scelta sembra ininfluente per il PD che, accreditato di gran lunga come primo partito, potrebbe farla comunque, anche se la legge prevedesse il premio alla coalizione. Per tutti gli altri, invece, la cosa ha un certo peso, e lo si capisce se si aggiungono le modifiche “collegate”: innalzamento della soglia di ballottaggio al 40% (l’Italicum attuale la pone al 37); abbassamento delle soglie d’accesso, oggi molto elevate e differenziate (12% per le coalizioni, 4,5% per i partiti coalizzati, 8% per quelli non coalizzati), fino a prospettarne l’unificazione al 5 o al 4 (ma c’è chi dice al 3%). Quindi, per Forza Italia ci sarebbe il rischio di andare alle elezioni da sola. Sembra che Berlusconi potrebbe accettare queste modifiche solo se il PD gli desse la garanzia di non andare alle elezioni nel 2015, dandogli così il tempo di ricostruire il campo del centro destra.
Noto subito che c’è un ripensamento sulle soglie di sbarramento, e sarebbe una cosa molto positiva, poiché le soglie alte, differenziate ed escludenti sono veramente irragionevoli, espongono la legge a rischi di incostituzionalità (se ne parò per la legge Toscana, ricordate?), e in definitiva servono solo a Forza Italia. Giusto anche l’innalzamento al 40% della soglia minima per non andare al ballottaggio.
I ripensamenti che citavo sul sistema elettorale nazionale appaiono però frutto di esigenze immediate. Secondo me non sono state prese in considerazione tutte le conseguenze del premio di maggioranza al sigolo partito. E non è facile capire il perché delle scelte che Renzi sta facendo.
Io credo che Renzi si stia convincendo a puntare sulla trasformazione del PD in quello che ormai si chiama “Partito della Nazione”. La competizione tra partiti e non tra coalizioni e il premio di maggioranza al partito vincente determinerebbero, infatti, un sostanziale disinteresse degli elettori verso le forze politiche minori, concentrando l’attenzione (e il voto) direttamente su chi – tra i partiti – può conseguire il massimo risultato. Per il PD è il modo più sicuro per confermare il risultato delle europee, convincendo i dubbiosi a “stare con chi può vincere”. Alle formazioni politiche minori potenzialmente alleate del PD resterebbe, infatti, la seguente alternativa: o puntare al governo, annullando la propria identità e mettendosi sotto la bandiera del PD, oppure puntare alla rappresentanza “isolata” e minoritaria, rischiando anche l’effetto “voto inutile”. In più, la sfida elettorale del centro destra potrebbe essere portata solo da un partito di notevolissime dimensioni, destinato alla inevitabile sconfitta se non fosse in grado (come oggi non appare in grado) di costruirsi anch’esso come partito che unifica dentro di sé altre forze politiche. Una semplificazione forzata della competizione elettorale che apre, meglio di altre, la strada al presidenzialismo.
Il punto è che questa ipotesi ha anche altre immediate conseguenze sul sistema politico e istituzionale italiano, che, non avendo i contrappesi tipici dei sistemi democratici presidenziali, e avendo partiti sempre più personali, si ritroverebbe nei fatti dentro una dialettica Parlamento-Governo tutta spostata, e in modo esorbitante, sul potere esecutivo e sul capo del governo. In queste condizioni, si rischierebbe di tendere a un sostanziale monopartitismo, con un partito (personale) talmente egemone da occupare per decenni la guida del Paese. È una prospettiva desiderabile? Credo proprio di no, almeno per chi crede all’alternanza, cioè all’effettiva contendibilità del potere politico come antidoto al consolidarsi di posizioni di potere, e alla forma di governo parlamentare.
Certo, un progetto simile – se c’è – può essere perseguito (come lo è stato finora) anche con un sistema elettorale fondato sulle coalizioni, ma il percorso sarebbe molto più difficoltoso e il risultato molto più incerto.
Dal mio punto di vista, credo che bisognerebbe puntare invece su un sistema elettorale più aperto e più coerente con la forma di governo parlamentare (e con il pluralismo politico). Un sistema che, garantendo la governabilità, rinunci a determinare ulteriori forzature. Una cosa è raggiungere una posizione centrale nel sistema politico – come giustamente ambisce il PD di Renzi – sulla base di un voto democratico libero e uguale, dunque meritandoselo sul campo, altra cosa è raggiungere questo risultato con meccanismi elettorali fortemente distorsivi e semplificanti. Ogni modifica, più o meno intensa, della forma di governo parlamentare va invece lasciata alla sua sede propria, che è la riforma costituzionale. Se ai sistemi elettorali si chiede troppo non si fa un buon servizio all’equilibrio dei poteri.
Direi perciò che, tornando ai principi di uguaglianza politica, bisognerebbe puntare su queste cose:
a) innalzamento al 40% della soglia al di sotto della quale si va al doppio turno;
b) premio di maggioranza moderato (di poco superiore al 50% dei seggi), sufficiente a consentire la governabilità, ma non tale da stravolgere l’equilibrio costituzionale (che invece si avrebbe se il premio si avvicinasse pericolosamente al quorum che consente modifiche della Costituzione con maggioranza autosufficiente, autosufficiente elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali, ecc.);
c) mantenimento del confronto elettorale tra coalizioni;
d) collegio uninominale; in alternativa, voto di preferenza su liste plurinominali brevi, con esclusione assoluta di liste bloccate tipo Porcellum (peggio che mai con capolista bloccato e preferenze per gli altri); il che vuol dire restituire al mandato dei parlamentari la piena legittimazione degli elettori e la responsabilità verso di essi;
e) soglia di sbarramento unica, sia per i partiti in coalizione che per i partiti che corrono da soli (bassa però, 3% o al massimo 4%);
f) concreta applicazione del principio di parità di genere, sia in caso di collegi uninominali sia in caso di voto con preferenza (doppia) su liste plurinominali.
Come si può notare, l’idea che sostengo è di evitare derive presidenzialistiche, e poi tutti i gravi difetti in cui è incorsa la legge elettorale della Toscana. Il che si può fare solo mantenendo saldi i principi di uguaglianza degli elettori, dei candidati e dei partiti.
Ultima notazione: i tempi della politica si stanno immensamente accorciando, e lasciano poco spazio – a quanto pare – al confronto meditato e partecipato. È il segno dei tempi, non un segno buono. Speriamo almeno che sulla legge elettorale nazionale non scenda il silenzio e, con questo, la delega totale a chi la legge deve votarla.