LE PRIMARIE, CHE PASSIONE!
Siete appassionati di primarie? Le considerate il peggio della democrazia? Questo piccolo scritto è per voi. Dove si racconta che: di primarie non si vive, ci vogliono prima i programmi, le regole devono essere dettagliate e stabili, qualcuno deve decidere se farle o no, si deve sapere chi vota, è bene che i partiti facciano la loro parte, è fondamentale sapere chi si può candidare e chi no, e la campagna elettorale non può diventare la terra di nessuno. E infine l’ultima e più importante regola sul migliore sistema di voto.
Se avete pochissimo tempo, sceglietevi la parte che vi interessa. E poi fatemi sapere cosa ne pensate.
Polemiche.
Non ricordo primarie senza polemiche, ultime arrivate quelle di Campania. Ma non è di De Luca che voglio parlare (il caso è ben descritto da Pertici su http://www.ciwati.it/…/de-luca-tutte-le-informazioni-del-c…/). Se le primarie del PD sono le più quotate e “polemizzate”, se ne fanno e se ne propongono dovunque. E siccome di critiche ce n’è quante ne volete, dirò invece come – secondo me – dovrebbero essere ripensate, e poi come dovrebbero essere fatte. È chiaro che mi riferisco alle primarie per le cariche istituzionali monocratiche (sindaco, presidente di regione), mentre le cd. primarie per il segretario del PD sono in realtà un’elezione diretta; però, con qualche aggiustamento (esempio: prima si fa un congresso vero, si stabilisce il programma fondamentale e quello di mandato, poi si fa l’elezione diretta tra le personalità che hanno “vinto” il congresso, ecc.), il discorso si può estendere anche a queste.
Di primarie non si vive.
La partecipazione democratica è fatta di tante altre cose, congressi veri, anche “a tema”, e soprattutto referendum tra le iscritte e gli iscritti (o tra le elettrici e gli elettori). Qualcosa in questo senso insegnano le esperienze di alcuni partiti (ad esempio, in Italia il Partito Radicale, o in Germania la SPD) e dello stesso M5S. Bene perciò le primarie, ma da sole la democrazia dei partiti si converte nel suo contrario, in una organizzazione dove dominano comitati elettorali a vita. Lascio a voi la riflessione sulle conseguenze.
Prima i programmi.
Le primarie sono una modalità di selezione della classe dirigente, cioè una scelta tra personalità che esprimono una medesima proposta politica. E dunque dovrebbero essere sempre precedute da una fase di vera definizione partecipata dei programmi (di partito o di coalizione). Altrimenti scatta una identità forzata – ma nei fatti inesistente – tra persone e programmi, e una legittimazione del Capo “a prescindere”. Il processo partecipativo deve consentire a iscritte/i di contare veramente sulla definizione delle scelte principali. Solo così, nella successiva vera competizione elettorale tra forze politiche alternative, può scattare una identità virtuosa tra persone (scelte dai partecipanti alle primarie) e programmi (scelti dalla comunità politica di cui le persone sono espressione).
Regole dettagliate e stabili.
Scelti i programmi (e le alleanze), le primarie devono essere ben regolate. Siccome sono regole elettorali, esse devono essere stabili. Le regole delle primarie non possono essere definite volta per volta a seconda delle convenienze. Ogni partito dovrebbe avere le primarie regolate nel dettaglio in statuto, e la “regola regina” dovrebbe essere questa: non si possono cambiare le regole delle primarie se non almeno a distanza di un anno dalla loro celebrazione. Può regolarle una legge? Direi di si, però senza metterle a carico della collettività, facilitando invece i partiti a farle bene.
Chi decide di farle o no.
La decisione se fare o meno le primarie dovrebbe sempre spettare a un’assemblea di partito (nazionale o locale, a seconda delle elezioni per le quali sono svolte), ma l’obbligo di tenerle dovrebbe sempre scattare se lo richiede una minoranza di delegati (una minoranza, non un’enormità, ad es. il 25%) o di iscritte/i (ad es. il 5%). Questa regola garantisce che le primarie siano un fatto fisiologico.
Chi vota.
Le primarie per le cariche istituzionali – quando si tengono – dovrebbero essere sempre aperte alle elettrici e agli elettori, anche qui con buone e stabili regole sul “chi può votare”. Non c’è un principio assoluto, si possono fare pre-iscrizioni (meglio) oppure consentire il voto a tutti quelli che si presentano ai seggi. Se il processo è ben costruito nelle fasi precedenti (definizione del programma e delle alleanze, individuazione dei candidati che quelle scelte rappresentano), la base elettorale viene da sé, e comunque i condizionamenti esterni sono ridotti al minimo.
Partito liquido?
Il ruolo del partito (o dei partiti, se c’è la coalizione) è fondamentale. Esso si svolge “a monte” delle primarie, con la definizione del programma, delle alleanze, dei candidati/e, e poi “durante” con intense attività di informazione agli elettori e di organizzazione operativa. Il ruolo del partito è molto ampio “a monte”, mentre deve essere controllato “durante” le primarie, mediante organismi indipendenti. Il ruolo di informazione è decisivo, poiché attiene alla tutela dell’uguaglianza dei candidati, garantendo l’informazione di base direttamente presso i cittadini: sul programma, sui candidati, sulle modalità di voto. È il partito che deve mettere a disposizione di tutti i candidati le strutture operative essenziali (sito web, elenchi degli iscritti, convenzioni con i fornitori, ecc., perfino la sede del comitato elettorale, se ciò è richiesto da un candidato/a), e garantire la buona organizzazione.
Chi si può candidare.
Anche le regole sui candidati devono essere molto precise, non può esistere che oggi, mettiamo, ci vogliono 100 firme raccogliticce e domani 10.000 certificate (io direi: poche e buone). Fondamentale è stabilire che bisogna aver partecipato al processo di definizione del programma e delle alleanze e condividerne l’esito, e se occorre o meno una certa fase di partecipazione alla vita del partito o di altre organizzazioni sociali o politiche. Nelle primarie per le cariche istituzionali tutti i candidati non possono che essere “comuni”, il che vuol dire condividere una impegnativa base programmatica elaborata insieme. Poi ci sono le regole “a tutela” del partito (ad esempio le regole – decisive – sulle incandidabilità e sulla onorabilità, così importanti come si è visto nel caso della Campania), mentre la prima garanzia verso i candidati è di impedire esclusioni per scelta discrezionale della maggioranza.
Campagne elettorali pulite.
Ci sono poi le regole sulla campagna elettorale, che devono essere improntate alla massima trasparenza e alla responsabilità per comportamenti scorretti. Massima trasparenza è, ad esempio, utilizzare uno specifico conto corrente bancario (magari aperto dal partito), su cui far transitare tutte le risorse in entrata e in uscita; lo è, altro esempio, la regola della pubblicità di ogni contributo ricevuto, anche minimo, cosicché sia vietato il contributo per il quale si richiede la segretezza. Responsabilità è definire precise sanzioni per le violazioni, ma sanzioni vere (quindi, principalmente sanzioni pecuniarie e interdittive) ed effettivamente attivabili (mediante l’organismo di controllo indipendente). Non è male stabilire anche un altro principio: chi si comporta in danno di altri è tenuto a risarcirli delle spese da loro sostenute.
Ultima regola – ma regge tutte le altre – è il sistema elettorale.
Si è ormai visto chiaramente che il sistema “chi arriva primo vince”, tipo uninominale inglese, va bene è per le elezioni “vere” ma è potenzialmente devastante per le primarie. Non a caso, proprio dagli inglesi viene per le primarie una regola diversa, utilizzata dal Labour Party, quella del voto alternativo, che evita lotte all’ultimo sangue e tiene unito il partito. È un sistema molto semplice, riproposto tempo fa anche da Gad Lerner e Pietro Ichino (http://www.gadlerner.it/…/buona-lidea-di-ichino-primarie-a-…), una specie di ballottaggio a turno unico: l’elettore dispone di due voti, il primo lo dà al candidato/a preferito/a, il secondo al candidato/a che voterebbe se il primo non ci fosse. Per vincere è necessario ottenere la maggioranza assoluta dei voti di prima scelta, altrimenti si contano i secondi. Questo sistema consente una vera pluralità di candidati/e (e quindi meno preoccupazioni per quanti vi partecipano) e una competizione che li avvicina, perché ciascuno cerca sia il primo che il secondo voto. Meglio, molto meglio del ballottaggio a due turni, che riproduce e amplifica le fratture.
Insomma: le primarie possono portare passione, sia nel senso di “appassionare” sia nel senso di “patire”. Continuare a farle come si fanno oggi è imbarazzante, e raccontarle come se queste fossero il meglio della democrazia è una sciocchezza.