La scuola, il PD e il governo Monti

Intervento alla conferenza programmatica del PD metropolitano – Firenze, 30 marzo 2012

Giorni importanti, questi. Per il Paese e per il PD.

Lo sono per noi che siamo qui, perché crediamo che ritrovarci a discutere insieme è una cosa a cui non possiamo rinunciare. Oggi non dobbiamo approvare documenti o mozioni. Oggi ci esercitiamo ad ascoltarci, e ad ascoltare attraverso le nostre parole quello che si muove intorno a noi.

Qualche giorno fa c’è stato l’urlo della scuola. La scuola pubblica ormai deve urlare per farsi sentire, altrimenti nessuno la vede più, nessuno l’ascolta.

Non è poi veramente così, per fortuna; ma chi l’ascolta – come tanti di noi qui nelle istituzioni della Toscana – può metterci una pezza o poco più. Resistiamo, facciamo del nostro meglio, produciamo buone pratiche e ci facciamo in quattro per l’infanzia, i bambini, i giovani. E più investiamo più allontaniamo il rischio di ritorni indietro. Ma è altrove che si decide il destino della scuola.

Lentamente ma progressivamente stiamo assistendo al tradimento delle parole. I numeri no, quelli non tradiscono, e dicono che di questo passo l’Italia spenderà nel 2015 il 3,8% del pil per istruzione e ricerca. Oggi siamo al 4,3, una delle percentuali più basse d’Europa. Così non si salva l’Italia. Così l’Italia affonda.

Vi risparmio i numeri della scuola di oggi. Non voglio farvi prendere dalla desolazione. Voglio invece convincervi che le cose possono cambiare, e che però dobbiamo metterci più impegno. Ciò che possiamo dobbiamo farlo, nella nostra Regione e negli enti locali, con convinzione. E se abbiamo qualche tentennamento, ricordiamoci che qui si parla di diritti delle persone, del loro futuro, della vita delle nostre comunità, e che la scuola è il primo motore dello sviluppo, è la prima fabbrica del benessere di una società.

Ecco, questo è il problema per chi oggi apre una discussione sui diritti e sullo sviluppo:

  • a parlare di diritti si rischia di fare un quaderno di doglianze, con tutti quelli violati o non realizzati o sempre appesi ad un filo;
  • e a parlare di sviluppo si corre il rischio di essere presi in giro, con l’aria cupa che tira nell’epoca della recessione.

Eppure l’esercizio di mandare a mente i diritti, per la cui affermazione – checché ne dica Marchionne - esiste il Partito Democratico, è un buon esercizio. Che ci fa rispondere con serietà anche alla domanda di quali politiche sono necessarie in ogni tempo, e soprattutto in tempo di crisi. E i soldi? I soldi ci sono, se mettiamo al primo posto la qualità.

Questo governo non so più come definirlo. I sacrifici erano necessari, non potevamo cadere giù nel baratro nel quale ci stava portando Berlusconi & company. Ma ora si tratta di dare qualità all’azione pubblica e alla spesa pubblica, e per la qualità occorrono riforme vere. Vivere in austerità è un obbligo, ma infine bisogna vivere, non sopravvivere. E per vivere questo governo non basta. Ci vuole molto, molto più coraggio.

L’anno che verrà porterà le elezioni politiche nazionali, e il centro sinistra deve essere lì, pronto a prendere in mano la situazione. Perché fino ad allora non credo che le cose possano cambiare molto.

Ricordiamoci dunque degli impegni che prendiamo in questi mesi, a partire dalla critica severa verso un patto di stabilità che non tratta l’istruzione e la scuola come si dovrebbe, impedendo di spendere quando i soldi ci sono.

Ricordiamoci che siamo noi quelli che parlano dei giovani, non dei giovani usati come pretesto per politiche regressive e di esclusione, ma di quelli che vogliamo fin da oggi più consapevoli, più istruiti, più creativi, e per questo più tutelati nel lavoro e più protagonisti del loro futuro. Nell’anno che verrà, nelle elezioni che vogliamo vincere, dobbiamo portarci dietro tutta la carica innovativa delle politiche che, con le nostre scarse forze, pure abbiamo fatto qui in Toscana. Le battaglie che abbiamo dato le vogliamo portare a compimento nel governo dell’Italia.

Sono stata stamani all’incontro del gruppo nazionale nidi-infanzia. Abbiamo fatto il punto sulle difficoltà che si incontrano nei vari territori su nidi e scuole dell’infanzia, perché c’è chi ha investito e chi non lo ha fatto, e oggi si trova con le scuole private che soppiantano quelle pubbliche. E’ così per tutto: se non investi non crei futuro.

Che diritto all’istruzione è stare in classi pollaio? Che diritto è vedersi scomparire i laboratori o l’insegnamento dell’inglese? Che diritto è vedersi abbandonato se disabile? Che diritto è perdere il tempo pieno? E il maestro unico è diritto all’istruzione? E che roba è che le famiglie devono pagare gli strumenti didattici che la scuola dovrebbe assicurare a tutti? E i nostri edifici scolastici vecchi di cent’anni, è diritto all’istruzione? E gli insegnati usa e getta sono diritto all’istruzione? E gli alunni stranieri?

E allora mi viene in mente che il 2012 è il cinquantesimo della riforma della scuola media italiana. La più grande riforma della scuola che sia mai stata fatta. Una svolta per l’Italia. Una cosa che coinvolse in un modo straordinario le forze politiche, comitati centrali e organismi dirigenti dei partiti convocati per discutere perfino di quale mediazione raggiungere sull’insegnamento del  latino. Roba di altri tempi. Una nazione intera coinvolta, milioni di persone a cui si riconoscevano diritti mai realizzati. Era l’Italia un Paese almeno su questo unito, che decideva di scommettere sul suo futuro. Milioni di anni luce dal tempo presente, dalle stravaganze delle scuole-fondazioni del Governo Berlusconi, dall’impoverimento della scuola pubblica pervicacemente programmato e perseguito.

Io vorrei che quel tempo, quell’insegnamento di 50 anni fa, tornasse con il nuovo governo del centro sinistra. Perché oggi come allora c’è un bisogno vitale di ricostruire questo Paese dalle fondamenta. Non con lo spirito cupo della finanza, ma con quello aperto di una società sì austera ma, infine, piena di voglia di fare e di progredire. Riprendiamo perciò il cammino interrotto, mettiamo in soffitta questi anni terribili, riscopriamo il riformismo vero di tutte le forze e le intelligenze che per decenni, dal quel fatidico 1962, hanno portato qualità alla scuola italiana. La scuola ha accumulato nel tempo, lo sappiamo, tanti problemi, e da più di dieci anni le false riforme li hanno fatti incancrenire. Ora è arrivato il momento di porvi rimedio.

Tutta sta’ roba qua, direbbe qualcuno, non è mica letteratura per conigli. Tutta sta’ roba qua è invece pane per i nostri denti.

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