La crisi economica e finanziaria

Intervento alla seduta del Consiglio Regionale del 6/09/2011

La crisi economica e finanziaria va affrontata con grande energia e onestà.

Diciamoci la verità: ormai in Italia il governo non c’è più. Nessuno crede che ci sia, nessuno è disposto a scommettere che la parvenza di governo che c’è ancora, aggrappato ad un pugno di voti in parlamento, con una maggioranza nel caos che non riesce a scrivere una manovra credibile, abbia l’autorità per assumere decisioni serie. In tempi normali, anche il migliore governo si sarebbe dimesso per consentire di fare lo sforzo che le cose richiedono.

Qui da noi, invece, nulla di tutto questo, nonostante la sfiducia dei mercati, delle imprese,  dei cittadini. Lo sciopero della CGIL sta lì a dire a tutti che tanta parte del Paese non si sente rappresentata nel momento delle scelte più difficili.

Queste scelte portano il nome di sacrifici e di austerità, ma anche di voglia di riscatto, di ripresa del cammino interrotto dopo anni di bugie, di sottovalutazioni, di prese in giro. Chi deve fare sacrifici, che dovrebbero toccare a tutti in ragione della diversa capacità contributiva, è disposto a farli solo se vede equità e un po’ di luce in fondo al tunnel, e se vede che la sua classe dirigente ha voglia di combattere per dare all’Italia la fiducia di potercela fare.

Dopo gli anni dell’orgoglio degli evasori, è venuto il tempo della condanna morale. Ciò che manca però è il coraggio di tagliare i ponti con gli errori e le mistificazioni del recente passato. Oggi ci vorrebbe il coraggio di dire una verità elementare, che occorre una svolta, che questo governo non ce la può fare, che bisogna andare subito ad elezioni, subito, dopo l’approvazione di questa ennesima pessima manovra del non-coraggio, lasciando il campo a chi il coraggio ce l’ha.

Se non si cambia rapidamente registro, la combinazione delle manovre del 2010 e del 2011 avrà effetti micidiali. Le conseguenze della crisi finanziaria italiana le pagheranno i lavoratori e le lavoratrici, i giovani, le donne e i pensionati, le famiglie, l’istruzione e la sanità pubblica, e il sistema democratico locale, attraverso il quale quei soggetti esprimono le proprie domande e reclamano la rappresentanza dei propri bisogni. Tutti questi qui e nessun altro.

L’allarme sulla situazione economica e finanziaria non viene solo da sinistra. Tutte le regioni e tutti i comuni – senza distinzione alcuna – hanno detto che così non si può governare un bel niente.

Dal mio punto di vista, sono allarmata per quello che sarà il destino delle politiche educative e delle politiche sociali, penso alle città che verranno, a chi fronteggerà il disagio sociale, quanti bambini non avranno la possibilità di entrare fin dalla prima infanzia nel sistema educativo, quanti ragazzi andranno a infoltire la schiera di quelli fuori da tutto, che ne sarà dei disabili, cosa potremo mettere in campo per l’integrazione degli immigrati, quale copertura darà di qui a poco il nostro sistema sanitario alle persone, a chi deve far nascere un figlio, a chi deve affrontare una malattia grave, a chi ha in famiglia una persona non autosufficiente. Sullo stesso registro, mi chiedo cosa ne sarà della tutela del territorio (non voglia Iddio che ci capiti di dover fronteggiare qualche emergenza!), chi riempirà le buche nelle strade, quale trasporto pubblico avremo.

Mi chiedo che senso ha più questo patto di stabilità, che non ci permette nemmeno di sistemare una scuola, anche se i soldi ci sono. Mi chiedo di quale federalismo andiamo discutendo, se di quello che si favoleggiava nella legge del 2009 o di quello da Stato minimo, da welfare caritatevole, da ognuno pensi a sé, che questo modo di affrontare le cose ci vuole imporre. Mi chiedo che cosa altro ci sia da tagliare, su una spesa pubblica che da dieci anni ha a prezzi costanti un andamento piatto, e ha dunque bisogno di qualità non di sottrazione di risorse allo sviluppo civile ed economico. Conosco per esperienza personale cosa vuol dire qualificare la spesa, renderla più produttiva, cambiargli la direzione, senza cedere alla logica dei tagli lineari. Questo dobbiamo fare oggi, soprattutto per la scuola e il sociale.

Su scuola e sociale possiamo giocarci una carta importante, concentrando qui risorse che sono necessarie alle famiglie, ai giovani, al volontariato. Il punto è che, ormai, si deve ammettere che ogni risorsa regionale deve vedere una vera compartecipazione dei comuni. Né possiamo accettare, almeno fin quando non vi sarà la cd. fiscalizzazione, che le risorse per la scuola o per il sociale si disperdano in iniziative disparate, non concordate.

Sulla scuola sono poi per dire parole forti in favore dell’edilizia scolastica. Fino alla richiesta di superare decisamente il patto di stabilità. Questo è il problema su cui dovremmo puntare, anche in occasione del piano integrato generale dell’istruzione (PIGI). Sulla formazione in funzione dell’obbligo scolastico, dobbiamo subito intervenire per sanare questa debolezza del nostro sistema.

Insomma, io penso che dobbiamo arrivare a ricostruire i contenuti del patto tra Regione ed enti locali sulla scuola e sui servizi sociali. Un patto concreto, che comporta decisioni forti sul territorio, e una Regione che sa negoziare sulla qualità dei servizi e della spesa per investimenti.

Non illudiamoci che sia finita. Un governo non autorevole non garantisce più nessuno, e le “manovre” finanziarie sono destinate a diventare un appuntamento inevitabile, e ogni volta l’Italia sembra destinata a perdere qualcosa di sé. Trovo perciò a dir poco stucchevole il modo di procedere sulle istituzioni, in una folle corsa a dimezzare tutto, che alla prossima manovra ci porterà al “quartino” della democrazia, così veramente a fronteggiare la prossima crisi ci saranno solo gli amici degli amici, a far guardia alle mura dei palazzi di un potere arido e senza spina dorsale, in attesa che altri commissari ci dicano cosa fare, in due giorni, per salvare le borse.

Noi abbiamo qui in Toscana il dovere di mettere – per quanto sia possibile – in sicurezza il nostro sistema sociale e istituzionale. Agire, cambiare la nostra agenda, prendere decisioni, rapidamente, come è stato fatto sui ticket sanitari, per alleviare gli effetti della manovra, e per sgombrare dal campo questioni che ci fanno perdere tempo e capacità di risposta.

Questo Consiglio, questa Giunta faranno, io lo credo fermamente, il loro dovere, come è stato nei momenti cruciali della nostra storia.

Mettere in sicurezza il nostro sistema istituzionale vuol dire, per me, puntare – come abbiamo cercato di fare – sulla qualità del pubblico e sulla possibilità dei cittadini di influire sulle decisioni che vengono assunte per loro e in loro nome. Nella manovra si è fatta fin troppa demagogia e confusione sui piccoli comuni, mentre noi in Toscana stiamo procedendo su una strada giusta e lineare, puntando sulle unioni di comuni e le fusioni. La riduzione dei consigli comunali a larve di rappresentanza è poi in palese contrasto con l’idea – che dovremmo avere – di comuni più grandi e più forti, vera ossatura del potere locale.

Per ridare alla politica la dignità perduta, bisogna parlare un linguaggio di verità, e offrire ai cittadini e a tutte le forze disponibili, di ogni orientamento politico, un progetto di cambiamento comune e una occasione di rinascita. La Toscana sta facendo la sua parte.

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